“quanto segue non è un consiglio legale e non deve essere interpretato come tale; per una consulenza legale per la tua situazione, chiamami al 348/3268065.”
LA PROCEDURA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE
Tra fallimento e liquidazione giudiziale.
Dopo aver affrontato in via più generale le novità introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza, un approfondimento merita senz’altro l’istituto della liquidazione giudiziale che, sostanzialmente, modifica e sostituisce il vecchio istituto del fallimento, anche nella nomenclatura.
L’art. 349 CCII, infatti, recita “nelle disposizioni normative vigenti i termini “fallimento”, “procedura fallimentare”, “fallito”, nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni “liquidazione giudiziale”, “procedura di liquidazione giudiziale” e loro derivati, con salvezza di continuità della fattispecie”.
L’art. 382 del CCII prevede la sostituzione dei termini in questione anche all’interno del Codice Civile e nello specifico agli artt. 2288, comma 1, 2308, comma 1, e 2497, comma 4, mediante riferimento alla procedura di liquidazione giudiziale.
Ciò posto, il Legislatore non ha inteso stravolgere le principali caratteristiche della vecchia legge fallimentare ma rendere la procedura liquidatoria più dinamica.
Come detto nell’articolo precedente di questo blog, la ratio sottesa al Nuovo Codice della Crisi è quella di anticipare il dissesto, mediante strumenti predittivi della crisi, per il recupero dell’azienda affinché la stessa possa permanere attivamente nel tessuto economico e sociale e, dunque, per evitarne la chiusura definitiva. Questa è certamente un’altra ragione che ha condotto il Legislatore ad eliminare la definizione e la disciplina del “fallimento” in favore della nuova procedura di “liquidazione giudiziale” e sostituendo il termine di “fallito” con quello di “debitore”.
La finalità è quella di liquidare il patrimonio dell’imprenditore per la soddisfazione dei crediti (sempre in base agli specifici ordini e gradi di legge) senza l’esclusione dell’imprenditore dal mercato. Dopotutto l’impianto economico attuale è totalmente differente rispetto a quello in cui si è incardinato il vecchio istituto del fallimento e la liquidazione giudiziale può essere considerata, nello scenario economico contemporaneo, una connotazione della vita aziendale, un rischio economico che ha perduto la sua accezione negativa. La liquidazione giudiziale oggi diventa una procedura limite alla quale ricorrere allorquando le procedure preventive siano infruttuose.
Ciò è desumibile anche dalla circostanza che la procedura di liquidazione giudiziale si inserisce nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza subito dopo le procedure finalizzate alla continuità aziendale e, quindi, come procedura “eventuale” e successiva rispetto a quelle di “salvataggio” (vedasi articolo precedente sulle procedure conservative), come le procedure di allerta di cui agli artt. 12 ss. CCII e di composizione assistita della crisi di cui agli artt. 19 ss. CCII ed alle previsioni degli artt. 3 e 375 CCII rivolte all’imprenditore individuale ed agli amministratori delle società, di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di pre-crisi e con il dovere, in capo agli organi di controllo, di segnalare tempestivamente gli indicatori della crisi di cui all’art. 14 CCII.
Significativo è anche l’art. 2, comma 1, lett. A del CCII il quale distingue la nozione di Insolvenza rispetto a quella di Crisi e che formalmente denomina il Codice stesso. La Crisi infatti è “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
Presupposti della liquidazione giudiziale
Il presupposto soggettivo individua e delimita gli imprenditori soggetti all’applicazione di questo istituto, ossia coloro che ai sensi dell’art. 121 CCI “non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lettera d)”. Questo a significare che sono escluse le “imprese minori” (cioè quelle persone fisiche o società di persone che fiscalmente, in ragione dei ricavi, sono ammesse al regime di contabilità semplificata). Va da sé che sono soggetti a liquidazione giudiziale tutti le altre persone fisiche o giuridiche, enti, gruppi di società o persone, che esercitino un’attività commerciale, anche artigiana, al di fuori di siffatti parametri: associazioni riconosciute e non, fondazioni che esercitino un’attività d’impresa prevalente, enti ecclesiastici, consorzi, società che esercitano un’attività sportiva, holding personali, imprese familiari, minori incapaci autorizzati all’esercizio dell’impresa. Sono esclusi lo Stato e gli Enti pubblici, le start-up innovative (assoggettabili però alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento) e gli imprenditori agricoli.
Il primo schema di questa legge aveva eliminato la locuzione “commerciali”, abrogando sostanzialmente l’art. 2221 e assoggettando a liquidazione giudiziale tutti gli imprenditori, anche non commerciali, in stato di insolvenza, rendendo non assoggettabili alla stessa solo gli imprenditori sotto soglia e con assoggettamento alla procedura di liquidazione delle imprese agricole. Si continuerà certamente a far ricorso alla più autorevole elaborazione giurisprudenziale, che sosteneva la fallibilità dell’imprenditore che, pur qualificato come agricolo, non ha in concreto alcun collegamento con i cicli produttivi e biologici della terra.
Per l’apertura della liquidazione giudiziale sono rimasti invariati i requisiti dimensionali dell’impresa, così come è rimasto invariato il principio secondo cui i ricavi possono risultare “in qualunque modo”, anche attraverso accertamenti non definitivi dell’agenzia delle entrate, o mediante dati extracontabili desumibili dalle indagini della polizia tributaria, pertanto, ai fini dell’apertura della procedura di liquidazione, possono essere desunti e modificati dal giudice delegato.
Il presupposto oggettivo letteralmente è invariato rispetto all’art. 5 l. fall., infatti, per l’avvio della liquidazione giudiziale l’art. 2, comma 1, lettera b stabilisce che: “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” ossia, mediante uno stato di insolvenza persistente.
Per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, quindi, il presupposto oggettivo più rilevante è lo stato di insolvenza, pertanto, non potrà essere ammesso alla procedura il debitore che si trovi in stato di sola crisi perché, in quest’ultimo caso, avrebbe accesso alle altre procedure (conservative) previste dal CCII come il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti o i piani di risanamento.
Gli organi della liquidazione giudiziale
Gli organi della procedura di liquidazione giudiziale sono gli stessi previsti dalla legge fallimentare ossia, tribunale (sezione fallimentare che a rigor di logica diventare concorsuale), giudice delegato, curatore ed eventuale comitato dei creditori quando costituito. Nel nuovo CCII hanno le stesse funzioni.
Il tribunale, opera sempre in forma collegiale, dispone l’apertura della procedure di liquidazione, nomina, revoca e sostituisce gli organi della procedura quando ve ne sono i presupposti, vigila sull’operato del curatore e del comitato dei creditori, provvede sulle controversie relative alla procedura di liquidazione che non siano di competenza del Giudice Delegato.
I poteri del giudice delegato sono elencati nell’art. 123 CCII e ricalcano in buona sostanza quelli dell’art. 25 l.fall. ma in più vengono normate alcune prassi già consolidate negli uffici giudiziari. Il giudice delegato svolge la funzione di controllo sull’operato del curatore e autorizza quelle attività che necessitano di un provvedimento. Accerta il passivo e i diritti di terzi sulla procedura, approva il programma di liquidazione, autorizza il curatore a stare in giudizio quando la procedura è attrice o convenuta, liquida i compensi dei professionisti incaricati dal curatore e ne dispone la revoca su richiesta (motivata) del medesimo, esercita ulteriori funzioni di controllo e vigilanza su richiesta del curatore e lo convoca quando ne ravvisa la necessità per chiarimenti o anche per sollecitarlo negli adempimenti.
L’art. 213 del CCI (nei commi 7 e 8) disciplina la prassi di prevedere, prima dell’approvazione del programma di liquidazione da parte del comitato dei creditori, che esso venga sottoposto al giudice delegato. L’art. 130 CCII prevede espressamente la possibilità di richiedere al curatore ulteriori relazioni rispetto ai rapporti riepilogativi semestrali, altra prassi comunque già in uso, che rendono l’esercizio di vigilanza e controllo da parte del giudice delegato ancora più incisivo.
Il curatore viene nominato dal Tribunale nel momento in cui si apre la procedura di liquidazione giudiziale e con l’accettazione assume la qualifica di pubblico ufficiale.
Al curatore viene affidata interamente l’amministrazione del patrimonio della procedura di liquidazione a norma dell’art. 128 CCII. Può promuovere tutte quelle azioni giudiziali che spetterebbero ai soci e ai creditori e deve informare soci e creditori circa le operazioni inserite nel programma di liquidazione.
L’art. 130 CCII ha ridotto a 30 giorni dalla dichiarazione di apertura della procedura la presentazione al giudice delegato di una relazione con la quale informa circa gli adempimenti compiuti e le informazioni ottenute sulle cause di insolvenza ed eventualmente sulle responsabilità del debitore, degli amministratori o degli organi di controllo. Entro 60 giorni dal decreto di esecutività dello stato passivo, è prevista la presentazione di una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto e dell’insolvenza, sulla diligenza utilizzata dal debitore nell’esercizio dell’impresa e su tutte quelle informazioni rilevanti per le indagini preliminari.
Altra funzionale previsione è la facoltà del curatore, in caso di assenza di collaborazione da parte del debitore, di accedere alle banche dati delle pubbliche amministrazioni – anagrafe tributaria, archivio dei rapporti finanziari, banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro e ad estrarre copia degli stessi, con possibilità di acquisizione dell’elenco dei clienti e dei fornitori e della documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. cpc., al fine di reperire tutta la documentazione alla ricostruzione della situazione economico-finanziaria dell’impresa in liquidazione.
La prima relazione riepilogativa va presentata entro 4 mesi dall’emissione del decreto di esecutorietà dello stato passivo, successivamente, ogni 6 mesi.
Il curatore, inoltre, a norma dell’art. 136, comma 1, CCII, deve tenere un registro informatico consultabile dal giudice delegato ed dal comitato dei creditori se costituito.
La nuova normativa prevede altresì che il curatore debba procedere alla liquidazione dei beni contestualmente all’accertamento del passivo in linea con i principi ispiratore della riforma.
Il comitato dei creditori è l’organo rappresentativo delle varie tipologie di creditori e come prevedeva la Legge Fallimentare ha carattere interlocutorio, dunque, di ausilio nella gestione del patrimonio. Vigila sull’operato del Curatore, esprime pareri e soprattutto approva il programma di liquidazione e vigila sul suo effettivo realizzo. Esprime altresì pareri su richiesta del giudice delegato o del tribunale. Quando il comitato dei creditori non si costituisce perché nessuno di essi ne fa richiesta, oppure se costituito è impossibilitato, o in caso di inerzia e/o urgenza, il giudice delegato interviene in sostituzione come meccanismo di salvaguardia.
Il procedimento unificato delle procedure
Una delle più importanti novità è certamente l’unificazione delle procedure per l’apertura della liquidazione giudiziale, del concordato preventivo o per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione in ragione della possibile coesistenza di una richiesta di liquidazione giudiziale con un richiesta di una procedura di salvataggio, nonché per garantire l’esatto dies a quo dal quale decorrerebbe il termine per l’azione revocatoria concorsuale, ossia, secondo l’art. 166 CCII, dal giorno del deposito della prima domanda a cui è seguita poi la liquidazione giudiziale.
L’art. 49 CCII, al primo comma, prevede infatti una pregiudiziale giuridica: “Il tribunale, definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata della crisi o dell’insolvenza (…) dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale”, a significare che non potrà avere luogo l’apertura della liquidazione giudiziale se prima non siano definite le domande eventualmente proposte per l’accesso ad una procedura recuperatoria.
L’art. 37, comma 2, CCII conferma che i soggetti legittimati a farne domanda sono: il debitore, uno o più creditori ed il pubblico ministero, nonché – grazie al dettato dell’art. 14 CCII che prevede l’adozione di adeguate misure volte a far emergere lo stato di crisi – gli organi di controllo dell’impresa interni ed esterni.
Il pubblico ministero potrà richiedere l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale ogni volta abbia notizia della sussistenza di uno stato di insolvenza, anche da parte dell’autorità giudiziaria che lo rilevi durante un procedimento; quest’ultima, a mente dell’art. 38, comma 2, CCII, è tenuta alla segnalazione al pubblico ministero. Lo svolgimento del procedimento, sostanzialmente, è lo stesso dell’art. 15 l. fall. ma rispetto al passato, tuttavia, è previsto l’intervento di quei terzi che sarebbero legittimati alla presentazione della domanda di apertura della procedura di liquidazione “sino a che la causa non venga rimessa al collegio per la decisione” in base all’art. 41, comma 5, CCII.
L’art. 367 CCII, invece, recepisce la prassi consolidata negli uffici giudiziari di acquisire telematicamente dati e documenti direttamente dall’agenzia delle entrate, dall’INPS e della camera di commercio.
Il CCII non prevede più la nomina di propri consulenti tecnici ma non vi è alcuna altra norma che vieti, in ogni caso, tali nomine.
Un’altra importante previsione è quella dell’art. 43 CCII che disciplina la rinuncia alla domanda di liquidazione, con possibile condanna alle spese della parte che ha dato impulso alla causa per l’apertura delle procedura e fatta salva, in ogni caso, la legittimazione del pubblico ministero a darne impulso autonomamente; a tal proposito, infatti, vige l’obbligo di comunicazione a quest’ultimo del decreto di estinzione del giudizio.
L’apertura della procedura di liquidazione avviene con sentenza. Nella sentenza il tribunale in composizione collegiale nomina il giudice delegato ed il curatore, può altresì nominare, ai sensi dell’art. 49, comma 3, lett. b, CCII “uno o più esperto per l’esecuzione di compiti specifici in luogo del curatore”.
Altra funzionale previsione è l’autorizzazione del curatore, disposta con la sentenza di apertura della procedura, ad accedere alle banche dati dell’anagrafe tributaria e dell’archivio dei rapporti finanziari, nonché alla banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro, e ad estrarre copia degli stessi, con possibilità di acquisizione dell’elenco dei clienti e dei fornitori e della documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari, con le modalità di cui agli artt. 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. cpc.
Come per le sentenze dichiarative di fallimento, l’apertura della procedura deve essere iscritta in camera di commercio, da quel momento la stessa produce effetti riguardo ai terzi, per il debitore invece dal momento dalla data di pubblicazione in cancelleria.
Anche l’art. 49 comma 5 CCII recepisce la vecchia previsione secondo cui non si fa luogo all’apertura della liquidazione qualora l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati siano inferiore ad euro 30.000.
Il termine per la proposizione della domanda di liquidazione giudiziale è fissata dall’art. 33 CCII, il quale stabilisce che può essere aperta entro 1 anno dalla cessazione dell’attività.
Effetti dell’apertura della procedura
L’art. 142 CCII ripropone l’art. 42 l.fall. disciplinando la perdita, da parte del debitore, sia dell’amministrazione che della disponibilità dei beni, che passano in capo al curatore per la liquidazione.
L’art. 143, comma 3, CCII espressamente specifica “il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice” eliminando, così, tutte le incertezze giurisprudenziali circa l’individuazione del dies a quo per la riassunzione.
L’art. 146 CCII recepisce un’altra prassi degli uffici giudiziari prevedendo che le quote per assegni alimentari, stipendi e pensioni, per il mantenimento del debitore e della sua famiglia, sono stabiliti “sentiti il curatore ed il comitato dei creditori” dal giudice delegato.
Per la compensazione dei crediti, l’art. 155, comma 2, CCII, a differenza dell’art. 56 l.fall., prescinde dal fatto che siano scaduti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale stabilendo che non può avere luogo “se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore”. La normativa fa riferimento sia gli atti a titolo gratuito che oneroso ed ai pagamenti di crediti scaduti e non postergati.
Altra novità interessa i casi di prosecuzione del contratto, infatti, ai sensi dell’art. 172, comma 3, CCII “sono prededucibili soltanto i crediti maturati nel corso della procedura”.
L’art. 173, comma 1, CCII conferma la possibilità di sciogliere il contratto preliminare (non eseguito) anche quando il promissario acquirente abbia trascritto la domanda di esecuzione in forma specifica prima dell’apertura della procedura stabilendo, tuttavia, che “lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente se la domanda viene successivamente accolta”.
La riforma ha, in ogni caso, previsto alcune cautele a garanzia del promissario acquirente di un preliminare sciolto, infatti, lo stesso potrà far valere il proprio credito al passivo, con il privilegio di cui all’art. 2775 bis cc sull’immobile oggetto di preliminare di vendita.
In tema di contratto di affitto d’azienda l’art. 184 CCII distingue due ipotesi: nel caso in cui sia il concedente ad esser sottoposto alla procedura, il curatore ha facoltà di recedere dal contratto entro 60 giorni, corrispondendo all’affittuario un equo indennizzo; nel caso in cui sia l’affittuario ad esser sottoposto alla procedura, il curatore ha facoltà di recedere, sempre dietro la corresponsione di un equo indennizzo. L’indennizzo dovrà essere trattato come un credito concorsuale, pertanto dovrà essere presentata apposita domanda di insinuazione per il soddisfacimento.
Per quanto concerne i rapporti di lavoro, infine, l’art. 189 CCII prevede che: “l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro” 1. “non costituisce motivo di licenziamento”; 2) “(i) rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa restano sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, oppure vi receda”.
L’art. 191 CCII, come norma di chiusura e armonizzazione, rinvia alla normativa giuslavoristica per la disciplina dei rapporti di lavoro in essere durante l’apertura della procedura di liquidazione.
L’accertamento del passivo
La fase di accertamento del passivo non ha subito modifiche circa la forma per la proposizione della domanda rispetto al passato, ma introduce alcune novità e risolve alcune incertezze sui crediti ammissibili e sulle norme procedurali applicabili.
L’art. 201 CCII, comma 1, per esempio, stabilisce che sono ammessi al passivo anche quei creditori che non sono tali nei confronti della procedura, ma lo sono nei confronti del “debitore” che si è posto come datore di ipoteca.
La nuova normativa concorsuale inoltre ha assoggettato il procedimento di accertamento del passivo alla sospensione dei termini feriali.
Altra importante novità è la riduzione del termine da 12 a 6 mesi, rispetto al decreto di esecutività dello stato passivo, la presentazione delle insinuazioni tardive e l’inammissibilità per le “supertardive” quando, ai sensi dell’art. 208, comma 3, CCII, “la domanda risulta manifestamente inammissibile perché l’istante non ha indicato le circostanze da cui è dipeso il ritardo o non ne ha offerto prova documentale o non ha indicato i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrarne la non imputabilità”.
Il programma di liquidazione ed il piano di riparto
L’art. 211 CCII dispone, quando ve ne siano le condizioni e le opportunità, la prosecuzione dell’attività aziendale, dovendo il giudice delegato effettuare un contemperamento tra i danni derivanti dall’interruzione dell’impresa ed i pregiudizi arrecabili ai creditori attraverso la sua prosecuzione.
Tale operazione di contemperamento è superata nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto direttamente dal tribunale in sentenza.
Come in passato, un’alternativa all’esercizio provvisorio resta quella dell’affitto di azienda o di rami di essa in base all’art. 212 CCII.
L’art. 213 CCII ripropone i termini del vecchio art. 104 l.fall. in relazione al deposito del programma di liquidazione, infatti, lo stesso va presentato dal Curatore entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e, in ogni caso, entro 180 giorni dall’apertura della procedura.
Non viene specificato il contenuto del programma, limitandosi alla suddivisione delle attività da effettuare, i giudizi da intraprendere, o riassumere, oppure, in cui subentrare ed i tempi presumibili di realizzo dell’attivo, che non possono superare i 5 anni dal deposito della sentenza (salvi casi di eccezionale complessità), indicando altresì l’esito delle liquidazioni già compiute.
Il curatore, previa autorizzazione, potrà non acquisire beni o rinunciare alla liquidazione degli stessi quando ciò non appaia conveniente per la procedura. La non convenienza è presunta quando, a seguito di sei tentativi di vendita, non vi è stata aggiudicazione; lo stesso si può dire quando non vi è, o è scarsa, la convenienza economica.
L’art. 216 CCII stabilisce, in maniera non difforme rispetto a quanto già avveniva in passato, che le vendite vengano effettuate con procedure competitive e secondo modalità telematiche, tramite il portale delle vendite pubbliche.
Nulla è cambiato neppure in ordine alla ripartizione delle somme liquidate, che vengono erogate ai creditori secondo l’ordine previsto dall’art. 221 CCII e mediante il procedimento stabilito dagli art. 220 e ss.
La chiusura avviene a seguito del riparto finale, salvo sua anticipazione in assenza di beni liquidabili o comunque per carenza di attivo.
L’art. 233 CCII disciplina altre particolari ipotesi di chiusura, non difformemente dall’art. 118 l.fall., nel caso di assenza di passivo od a seguito dell’integrale pagamento dei crediti da parte del debitore, che farebbe tornare la società in bonis. In quest’ultimo caso il curatore provvederà a convocare l’assemblea ordinaria dei soci per la deliberazione della ripresa dell’attività o per la sua cessazione.
Sempre in considerazione della speditezza della procedura, l’art. 234 CCII prevede la chiusura anticipata anche in pendenza di giudizi.