Disclaimer: “quanto segue non è un consiglio legale e non deve essere interpretato come tale; per una consulenza legale per la tua situazione, chiamami al 348/3268065.”
Quando l’ambiente di lavoro diventa ostile e disorientante.
La violenza psicologica nei luoghi di lavoro
Il lavoro ci rende liberi poiché permette di realizzare autonomia ed indipendenza. Altra sacrosanta verità è che fare il mestiere che amiamo ci permette di lavorare felici, oltre che di guadagnare.
Sul lavoro si fondano le nostre certezze sull’avvenire e “beato chi un lavoro ce l’ha”. Ma cosa succede quando dopo un primo periodo, più o meno lungo, di idilliaca stabilità si comincia ad avvertire un crescente stato di tensione, tale da confondere quello che accade fuori con ciò che accade dentro di noi?
Il mondo del lavoro, soprattutto quello caratterizzato dalla subordinazione gerarchica, è luogo facilmente suscettibile di dinamiche relazionali perverse alle quali, spesso e molto a lungo si soggiace, tenuto conto che, soprattutto nel panorama attuale, il lavoro è un bisogno fondamentale.
Cos’è il Mobbing?
È la violenza psicologica esercitata sul luogo di lavoro da parte di colleghi e/o superiori nei confronti del singolo attraverso condotte che vanno da richiami continui, sproporzionati e fuori luogo o addirittura ingiustificati, nonché: minacce, ritorsioni, derisioni, atteggiamenti denigratori e dequalificanti e talvolta isolamento.
Nell’ambiente di lavoro, a seconda del soggetto che pone in essere tali condotte, si possono avere diversi tipi di mobbing. Il più noto è certamente il mobbing verticale, definito anche bossing, poiché le condotte discriminanti vengono compiute da un soggetto apicale o, comunque, da un individuo gerarchicamente superiore rispetto a chi le subisce.
Viene considerato mobbing orizzontale, invece, quando tali trattamenti sono attuati da colleghi o, comunque, da soggetti gerarchicamente pari rispetto a chi ne è vittima.
Ci sono casi in cui la vittima può essere mobbizzata sia da superiori che dai suoi pari, in tali casi si avrà una mobbizzazione mista.
Il bossing è una violenza psicologica all’interno del luogo di lavoro attraverso il comportamento abusante di uno o più superiori, ai danni di uno o più dipendenti, attraverso atteggiamenti intimidatori finalizzati ad imporre un determinato comportamento oppure con azioni premeditate e dirette, quali: l’esclusione da premi aziendali, la mancata assegnazione di incarichi a parità di ruolo o addirittura l’assegnazione ad altre risorse che esulano da specifiche competenze, l’esclusione dagli incontri, trattenere informazioni di norma rese a tutti i dipendenti ecc., a scopo discriminatorio e, dunque, mobbizzante.
Vi sono poi comportamenti che prevedono la dequalificazione del ruolo all’interno del contesto aziendale, come collaboratori eccellenti e preparati incaricati di mansioni di scarsa levatura, come: inviare raccomandate, fare fotocopie, gestire la posta di altri dipendenti e tutte quelle attività che demotivano e che non sono in linea con il profilo professionale.
La finalità è quella di creare nel dipendente o collaboratore, per svariate ragioni, difficoltà nell’ambiente di lavoro, dettate dalla marginalizzazione e la frustrazione che conducono a stati di stress ed ansia sempre più opprimenti. Molto spesso le vittime non riescono a ribellarsi in forza dello squilibrio nel ruolo gerarchico ricoperto dal mobber.
Come poc’anzi detto invece a proposito del mobbing orizzontale, in questo caso la condotta persecutoria è posta in essere da un collega o da un soggetto gerarchicamente alla pari, meglio detto mobber orizzontale, che trae vantaggio personale o professionale dallo screditamento della reputazione lavorativa di un altro collega. Tale comportamento è difficile da fronteggiare quando avviene in maniera subdola (ad esempio: un lavoro condotto unitamente ma presentato, all’insaputa dell’altro, magari in sua assenza, quale realizzazione esclusiva di altri), soprattutto quando viene attuato da più colleghi ai danni di un singolo il quale oltre ad avere meno chance di smentire la vicenda, subirà anche la frustrazione di un ambiente lavorativo sleale e pernicioso.
Inoltre, seppure statisticamente più raro, si verificano casi in cui il mobbing proviene dal basso, detto anche low mobbing. In questo caso il mobber tenta attraverso le proprie azioni di ledere la reputazione di figure apicali o responsabili, ad esempio contestando delle mancanze, magari da parte di più mobber, semplicemente per il risentimento scaturente dall’avanzamento di posizione e dall’acquisizione di responsabilità e poteri da parte di un attuale superiore in precedenza gerarchicamente pari o inferiore al low mobber.
Costo aziendale del Mobbing.
In tutti questi casi, le prime ad essere danneggiate sono certamente le vittime ma nel lungo periodo a risentirne è certamente l’intera comunità aziendale. La vittima andrà incontro a stati d’ansia con stress psicologico, fino ad accusare malesseri somatici tali da compromettere la resa lavorativa, si pensi ai costanti episodi di gastrite, alla sindrome da colon irritabile, alla depressione, agli attacchi di panico, alle nevrastenie, ecc.
Di conseguenza anche la struttura organizzativa avrà necessariamente dei danni dovuti alla perdita di tempo e di produttività, e dunque di denaro, derivanti dall’astensionismo della vittima che in tal caso diverrebbe tutt’altro che censurabile (come, invece, spesso accade!!).
Leader forti e leader deboli, inversione di tendenza?
Nella nostra cultura, sebbene vi sia una lieve inversione di rotta grazie ai nuovi approcci di comunicazione e gestione trasmessi dall’avanzare delle strategie di coaching – promosse attraverso una massiccia sponsorizzazione delle figure di business coach sui canali social – nell’ultimo cinquantennio è stato accettato obtorto collo il concetto di sistema organizzativo-aziendale “prepotente” che in pratica associa il leader forte a quello autoritario. Il fatto che si sia diffuso ha creato uno certo adattamento alla nociva gestione esercitata infondendo timori, più o meno plausibili, di ritorsioni scaturenti dal “potere/posizione del datore di lavoro” e “bisogno di (proseguire a) lavorare del dipendente”; leve psicologiche che rendono fertile lo sviluppo dell’antitetico binomio abusante-abusato purtroppo oggi diffuso a più livelli, non solo quello professionale.
L’autoritarietà non fa sana leadership.
Alcuni datori di lavoro adottano forme di maltrattamento verbale, ma ancora più spesso comportamentale, ove dipendenti e collaboratori vengono costantemente provocati, scherniti e talvolta bullizzati, giocoforza il ruolo ricoperto ed il supporto diretto, o indiretto, di altri dipendenti (si pensi alle ricorrenti affermazioni denigratorie del capo rivolte sempre agli stessi soggetti dietro la copertura dello sfottò, con il plauso dei colleghi; i richiami aggressivi, esorbitanti e plateali, per futili motivi e anche distorcendo la realtà dei fatti, senza procedere per il tramite dell’ufficio risorse umane preposto; l’uso di violenza verbale e intimidazioni con fare ricattatorio, ecc.). Soggiacere a tali comportamenti provoca nella vittima un crescente senso di inadeguatezza (un altro classico esempio è l’affidamento di mansioni proprie ad altri soggetti non qualificati) disorientando chi ne è vittima e creando per giunta confusione e disordine nell’organizzazione, oltre che malessere generalizzato tra colleghi. Questo sistema viene utilizzato dal management perverso per mantenere alti livelli di tensione sul luogo di lavoro, creando sfiducia e disistima nei dipendenti i quali devono sottostare a tali regole per mantenere il posto.
Tali comportamenti autoritari e perversi possono essere posti in essere anche da un solo soggetto, il quale, tenuto conto della posizione e dei poteri ad esso conferiti, danno vita ad un contesto lavorativo patologico.
Tale sistema si alimenta dei deterrenti quali: “perdita del posto di lavoro” o “peggioramento delle condizioni di lavoro” da parte dei dipendenti, ma anche da parte di responsabili, se non addirittura degli amministratori quando gli stessi sono a loro volta anche dipendenti della società e per i quali diventa sconveniente andare contro corrente e denunciare tali atteggiamenti altrimenti intollerabili. Di fronte a personalità manipolatorie capita che l’insorgenza di gruppi, che vogliono far emergere certe nefandezze (ad esempio il mancato scatto di livello spettante per legge con il connesso adeguamento economico) vada scemando attraverso una politica di divisione interna che prevede solitamente riunioni a tacitazione delle richieste, in cui vengono esclusi i principali soggetti insorti per essere messi alla berlina e creare un clima di sfiducia che conduca allo smembramento. Tale sistema è valevole quale ammonimento per il resto del gruppo e, dunque, come invito a desistere dall’avanzare pretese che restano legittime.
I manger manipolatori
Il manager con personalità manipolativa è un prevaricatore particolare che carpisce la benevolenza dei dipendenti. Le vittime predilette sono senz’altro i neossunti i quali, ignari del sistema in cui si stanno inserendo, vengono inizialmente elevati a dipendenti eletti e continuamente lodati, con l’obiettivo di acquisire il loro sostegno incondizionato e la loro gratitudine per essere meglio spremuti. L’idillio svanisce quando lo stesso sarà sostituito da una nuova assunzione o da altro dipendente che riceve nuove attenzioni per tornaconto personale del manager. Va da sé che il dipendente, inizialmente glorificato e successivamente sempre più sfruttato e disprezzato, si colpevolizzi e/o tenti invano di riottenere il vecchio rapporto idilliaco con il manager prima di comprendere di essersi arenato in un sistema aziendale degenerato e psicologicamente dannoso.
Generalmente in questi ambienti i dipendenti ed i collaboratori non vengono licenziati ma posti in condizioni professionali e psicologiche insostenibili che comportano le dimissioni per sfinimento.
Un manager che veicola informazioni differenti a seconda dei dipendenti e che altera la realtà, crea un contesto lavorativo teso, ostile e sfiduciante, pone gli uni contro gli altri, e inevitabilmente genera un sistema patologico alimentato anche dalla connivenza di dipendenti assuefatti che non reagiscono più a tale dinamica ed, anzi, normalizzano tali avvenimenti generando più o meno consapevolmente un’ulteriore situazione di mobbing orizzontale con mobbizzazione mista sopradetta, a scopo di sopravvivenza.
Quando è il caso di denunciare gli abusi ed intervenire legalmente?
Da un punto di vista penale, certamente, in caso di violenza fisica. La violenza verbale è denunciabile al pari di quella fisica. Da un punto di vista civilistico, quando il mobbizzato è ciclicamente vessato, il fine potrebbe essere quello di indurre il dipendente a rendere le dimissioni, in luogo del licenziamento. Il lavoratore in questo caso, qualora ne ricorrano i presupposti di legge, può dimettersi per giusta causa (preservandosi la possibilità di fare domanda di disoccupazione) previa denuncia di mobbing e sempre tenuto conto dei presupposti e della sua dimostrabilità processuale sia in sede penale che civile.
Ad oggi non esiste un reato da mobbing, ergo, da maltrattamento sul posto di lavoro, tuttavia, gli abusi devono e possono essere denunciati quando sfociano in condotte penalmente rilevanti (lesioni personali, percosse, molestie, diffamazioni, ingiurie, ecc.).
Da un punto di vista civilistico gli obblighi imposti al datore di lavoro a tutela dell’integrità fisica e morale dei lavoratori fanno si che lo stesso possa essere citato in giudizio per il risarcimento dei danni patiti dal lavoratore (danno biologico, danno morale, danno da dequalificazione, ecc.).
In Italia le vittime di mobbing sono oltre 1 milione (soprattutto nel settore pubblico dove probabilmente per la vittima è ancora più sconveniente abbandonare il posto attesa la stabilità e la certezza che ne ricava in termini materiali e psicologici) a discapito di un importante costo sociale legato all’improduttività ed all’assenteismo. Tuttavia, oggi, il numero di denunce per mobbing è in crescita. La denuncia per maltrattamento sul posto di lavoro è un’arma a difesa del lavoratore che non si ferma a quella verso l’autorità giudiziaria ed alla polizia a scopo personale, ma può estendersi pubblicamente attraverso articoli di giornale anche a beneficio collettivo.
Il mobbing è un abuso e la denuncia il suo contrappeso volto a ripristinare diritti innegabili.
Questo articolo pone l’accento sullo stile relazionale abusante dei dirigenti e delle figure manageriali rientranti nella categoria dei leader a gestione prepotente/abusante e mira a favorire la denuncia di soprusi che favoriscano l’emersione e la diffusione di leader a gestione equilibrata e autorevole attualmente promossi.